FERON RONTINI JUNIOR



FERON RONTINI JUNIOR Feron
Tratto da un testo critico di Gianni Schiavon



Tra le più oscure vie del destino umano sono celate quelle che conducono alla rivelazione del dono dell’Arte, che talora passa di sangue in sangue, di padre in figlio, come fu per Ferruccio Rontini, pittore e musicista, uomo dalla vastissima cultura umanistica, musicale ed artistica, figlio di Giulio “Da Vicchio” e nipote dell’omonimo e celebre paesaggista post-macchiaiolo….

……In Feron (questo il suo nome d’arte) ecco opere realizzate in una condizione estatica, aliena dalla realtà; ecco allora il dipingere farsi ebbrezza, ed abbandono all’istinto ed all’emozione indomabile, irreprimibile; uno stordimento senza spasmi, crampi, contrazioni; senza calcolo, sforzo, violenza; senza affanni o assilli, soprassalti; solo un dolce e suadente spandersi e perdersi e ritrovarsi in questi spazi ed in questa materia ed in questa luce, dove vivere disciolto, sospeso.

….Restano soltanto, così, superfici che continuano a trasudare vita: sono universi silenti in costante e lento divenire, che non hanno orizzonte né terra, mossi da una forza endogena che resta ignota, che è un respiro lento che muove da un indefinibile altrove.
Luoghi che non hanno luogo, in questa nostra dimensione; rivelazioni di profondità altre, oscure, distanti, irraggiungibili, inafferrabili, inviolabili, inalterabili, imperturbabili.
Uno spazio mutevole, affiorante, pulsante, che non è riferibile al cielo, alla terra, all’acqua, all’aria o alla fiamma; ad uno spazio fisico o comunque plastico. Uno spazio splendente, risorgente, traboccante, che è vapore, siero, placenta, flusso d’energia: uno spazio cedevole, elastico, palpitante, a tratti vertiginoso, rado come un fumo o denso come un liquido. Uno spazio vivo e duttile che muove dal suo interno; che impulsi e forze erranti agitano, invisibili.
Sono forme acquoree che si stagliano, dilatano e spandono su di un fondale negato ed inaccessibile, che paiono il principio di una vita “altra”, che affiora delle profondità pulsanti del vuoto, del nulla.
Sono vapori che stanno sospesi, affioranti, scossi da un soffio, un respiro regolato che scorre e increspa, e diffonde e muove e sperde.
Ad ogni modo stanno innanzi a noi, avanzano talora, ma non ci avvolgono, né ci tirano a loro, entro la superficie che pure è profonda, e suadente; che pure l’occhio vaga, e indaga: troppo intatte, perfette, intangibili, pure, quelle dimensioni avvolte da un mistero che ammalia e respinge al tempo stesso; in cui è impossibile naufragare; in cui si sfiorano, senza poterli toccare, l’infinito e gli assoluti: è fermo, in esse, il tempo, che ha sapore d’eterno; un tempo che comunque non è il nostro, fatto di ore, minuti, secondi; ma secoli, semmai, o ere, e per questo non ci appartiene.
E poi un colore d’una intensità disperata, artificiale, ipnotica e psichedelica, mentale, toccante;
un colore che è luce, che a sua volta è qualità della materia, e non apparizione, soprassalto, o abbaglio, anche quando è diapason; né allusione di spazio o atmosfera naturali; una luce nella quale non si cala, non si vive, non si assaporano il giorno, o la notte, o il crepuscolo o il vespro, o le stagioni, e che resta incomprensibile, inafferrabile, inespugnabile nel suo senso d’assoluto ed extraterreno: una luce che non si attraversa mai; che è magia che incanta ma non accoglie.
Non c’è un dove in questo viaggio, che manca d’ogni risposta.
Un viaggio che ha principio e termine nelle fluidità, nelle morbidezze, nelle evanescenze di una superficie senza muscolatura, fatta di anse e curve naturalmente musicali; talora anfratti, addensamenti, confluenze, nodi, gangli, sigilli d’ombra, centri di luce….


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